Mese: luglio 2017
buondì
E’ lunedì……di quella che è prevista come la settimana più calda , meno male che sono in ferie, si supera meglio il caldo 🙂
Buona settimana a tutti e buon rientro a chi torna dalle ferie
In giro per la romagna
La Romagna è una bellissima terra, non solo mare…e per quest’anno ho deciso di alternare giornate in spiaggia , con qualche visita all’entroterra
Qui sono a quindici minuti da casa mia …..
La chiesa di Polenta
NOZIONI STORICHE
La pieve di San Donato in Polenta prende il nome dal centro abitato che la accoglie. La borgata appenninica ospita questo edificio di culto riconosciuto come monumento nazionale per via della sua rilevanza artistica, ma anche grazie alla celebrazione che ne ha fatto Giosuè Carducci nell’ode “La chiesa di Polenta”: poesia in cui viene citata la cordialità con la quale venne ospitato dagli abitanti di Bertinoro, in particolare dalla famiglia Polenta, Dante Alighieri. Francesca da Rimini era infatti la figlia di Guido da Polenta, committente della pieve.
Il primo documento riguardante la chiesa è datato 24 luglio 911, mentre altre citazioni sono ascrivibili sempre al X secolo; nelle epoche successive, nuove testimonianze rendono conto delle vicende correlate al complesso in epoca medievale e moderna. Si suppone che sostanziali stravolgimenti dell’emergenza artistica siano da ricollegarsi agli interventi di restauro, o per meglio dire di ricostruzione, databili al 1705. Infatti, radicali furono le trasformazioni apportate all’architettura primitiva, come ricorda un’epigrafe posta sopra l’ingresso. La cripta, l’abside e la copertura dell’edificio sacro furono demolite e riadattate in una nuova articolazione spaziale consona al gusto del XVIII secolo. Nel 1890 poi si tentò un’effettiva operazione di restauro che destò, per le modifiche in precedenza operate, non pochi problemi, solo capitelli e pochi altri elementi superstiti resero più agevole la ricostituzione della mappatura originale. Infine nel 1898 presero avvio i lavori di ricostruzione della torre campanaria, terminati l’anno successivo. Poco rimase, dunque, della struttura originaria, per tali ragioni la pieve nella sua manifestazione contemporanea richiede una contestualizzazione storica che tenga conto dei sostanziali cambiamenti operati su di essa, anche dalle ricostruzioni.
NOZIONI STORICO-ARTISTICHE
Come per altri edifici della regione l’articolazione della muratura è caratterizzata dall’utilizzo di differenti tipologie di materiali, è, infatti, determinata da una struttura composita che alterna la pietra al mattone. La pieve si presenta oggi con pianta basilicale a tre navate, con tre absidi che risultano di forma cilindrica, e con presbiterio sopraelevato raggiungibile tramite una scala posta al centro della navata. Al di sotto di questa troviamo la cripta a volta articolata su quattro colonne centrali. La navata è cadenzata da archi incorniciati e da una risega retta su pilastri anch’essi cilindrici, mentre i capitelli, tutti diversi tra loro, presentano smussature a forma di cubo. Le ascendenze della cultura longobarda e bizantina, furono probabilmente mantenute nel lessico romanico, è infatti particolarmente significativa in tal senso la decorazione a bassorilievo dei capitelli che s’integra quale componente fondamentale dell’edificio. Tali decorazioni sono caratterizzate da rappresentazioni zoomorfe, fitomorfe e geometriche, anche se una loro puntuale datazione risulta problematica a causa della persistenza di questi stilemi nella cultura artistica locale.
La chiesa di Polenta
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Agile e solo vien di colle in colle
Giosuè Carducci e il cipresso di Francesca.
Poco sopra Bertinoro, in località Conzano (nella frazione Polenta) esiste ancora oggi un cipresso importante per la storia della letteratura italiana.
È il cosiddetto “Cipresso di Francesca”, perchè pare che proprio qui venisse molte volte Francesca da Polenta, diventata famosa grazie a Dante, che nel Canto V della Divina Commedia parlò di Paolo e Francesca, amanti condannati per lussuria, nonchè i primi dannati a parlare direttamente con il Sommo Poeta.
Di Francesca ne parla anche un altro famoso poeta, Giosuè Carducci, che nella sua poesia “La Chiesa di Polenta” riporta nei primi versi queste paroleGiosuè Cpresso di Francesca.
Poco sopra Bertinoro, in località Conzano (nella frazione Polenta) esiste ancora oggi unAgile e solo vien di colle in colle quasi accennando l'ardüo cipresso. Forse Francesca temprò qui li ardenti occhi al sorriso? Sta l'erta rupe, e non minaccia : in alto guarda, e ripensa, il barcaiol, torcendo l'ala de' remi in fretta dal notturno Adrïa: sopra fuma il comignol del villan, che giallo mesce frumento nel fervente rame là dove torva I'aquila del vecchio Guido covava. Ombra d'un fiore è la beltà, su cui bianca farfalla poesia volteggia: eco di tromba che si perde a valle è la potenza. Fuga di tempi e barbari silenzi vince e dal flutto de le cose emerge sola, di luce a' secoli affluenti faro, I'idea. Ecco la chiesa. E surse ella che ignoti servi morian tra la romana plebe quei che fûr poscia i Polentani e Dante fecegli eterni. Forse qui Dante inginocchiossi? L'alta fronte che Dio mirò da presso chiusa entro le palme, ei lacrimava il suo bel San Giovanni; e folgorante il sol rompea da' vasti boschi su 'I mar. Del profugo a la mente ospiti batton lucidi fantasmi dal paradiso: mentre, dal giro de' brevi archi l'ala candida schiusa verso l'orïente, giubila il salmo In exitu cantando Israel de Aegypto. Itala gente da le molte vite, dove che albeggi la tua notte e un'ombra vagoli spersa de' vecchi anni, vedi ivi il poeta. Ma su' dischiusi tumuli per quelle chiese prostesi in grigio sago i padri, sparsi di turpe cenere le chiome nere fluenti, al bizantino crocefisso, atroce ne gli occhi bianchi livida magrezza, chieser mercé de l'alta stirpe e de la gloria di Roma. Da i capitelli orride forme intruse a le memorie di scalpelli argivi, sogni efferati e spasimi del bieco settentrïone, imbestïati degeneramenti de l'oriente, al guizzo de la fioca lampada, in turpe abbracciamento attorti, zolfo ed inferno goffi sputavan su la prosternata gregge: di dietro al battistero un fulvo picciol cornuto diavolo guardava e subsannava. Fuori stridea per monti e piani il verno de la barbarie. Rapido saetta nero vascello, con i venti e un dio ch'ulula a poppa, fuoco saetta ed il furor d'Odino su le arridenti di due mari a specchio moli e cittadi a Enogiseo le braccia bianche porgenti. Ahi, ahi ! Procella d'ispide polledre àvare ed unne e cavalier tremendi sfilano: dietro spigolando allegra ride la morte. Gesú, Gesú! Spalancano la tetra bocca i sepolcri: a' venti a' nembi al sole piangono rese anch'esse de' beati màrtiri l'ossa. E quel che avanza il Vínilo barbuto, ridiscendendo da i castelli immuni, sparte —reliquie, cenere, deserto — con l'alabarda. Schiavi percossi e dispogliati, a voi oggi la chiesa, patria, casa, tomba, unica avanza : qui dimenticate, qui non vedete. E qui percossi e dispogliati anch'essi i percussori e spogliatori un giorno vengano. Come ne la spumeggiante vendemmia il tino ferve, e de' colli italici la bianca uva e la nera calpestata e franta sé disfacendo il forte e redolente vino matura; qui, nel conspetto a Dio vendicatore e perdonante, vincitori e vinti, quei che al Signor pacificò, pregando, Teodolinda, quei che Gregorio invidïava a' servi ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma, memore forza e amor novo spiranti fanno il Comune. Salve, affacciata al tuo balcon di poggi tra Bertinoro alto ridente e il dolce pian cui sovrasta fino al mar Cesena donna di prodi, salve, chiesetta del mio canto! A questa madre vegliarda, o tu rinnovellata itala gente da le molte vite, rendi la voce de la preghiera: la campana squilli ammonitrice : il campanil risorto canti di clivo in clivo a la campagna Ave Maria. Ave Maria! Quando su l'aure corre I'umil saluto, i piccioli mortali scovrono il capo, curvano la fronte Dante ed Aroldo. Una di flauti lenta melodia passa invisibil fra la terra e il cielo: spiriti forse che furon, che sono e che saranno? Un oblio lene de la faticosa vita, un pensoso sospirar quïete, una soave volontà di pianto I'anime invade. Taccion le fiere e gli uomini e le cose, roseo 'I tramonto ne l'azzurro sfuma, mormoran gli alti vertici ondeggianti Ave Maria.
Luglio 1897